Immobiliare, dieci anni di crescita al ritmo dell’11,5% annuo
Immobiliare, dieci anni di crescita al ritmo dell’11,5% annuo
Market News
Nel periodo gli investimenti in Italia sono passati dai 4,1 miliardi di euro agli attuali 12 miliardi. Nel 2010 oltre il 70% dei volumi veniva generato da uffici e retail, che oggi pesano il 50%
Dieci anni. Un periodo che ha fatto registrare grandi cambiamenti al mercato immobiliare italiano. Maggiore trasparenza, grande afflusso di capitali, investitori internazionali sempre più focalizzati sul nostro mercato. E volumi in crescita. Secondo i dati elaborati da Cushman & Wakefield per IlSole24Ore, nel decennio 2010-2019 c’è stato un incremento medio dei volumi di circa l’11,5% annuo. Gli investimenti in Italia sono così passati dai 4,1 miliardi di euro agli attuali 12 miliardi.
Il valore degli investimenti nel 2019 è stato infatti record. Il totale degli investimenti immobiliari in Italia si attesta a poco più di 12 miliardi, un valore mai raggiunto prima dal mercato italiano e superiore del 5% a quello del 2017 e del 43% a quello dei 2018.
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Milano corre, Roma resta stabile
« L’analisi dei dati dei due decenni non fa che evidenziare quanto negli ultimi anni stato sottolineato in tante occasione, ovvero i passi da gigante che Milano ha fatto rispetto a Roma in termini di capacità di attrarre capitali» dice Vanini. Se nel decennio 2000-2009 il mercato uffici Milano aveva attratto circa 11 miliardi di capitali investiti nell’immobiliare (con un tetto di circa 2,7 miliardi nel 2007) nel decennio successivo Milano ha attratto oltre 15 miliardi con un incremento del 39% (con un record di 3,7 miliardi nel 2019 e con volumi costantemente superiori a 1,7 miliardi negli ultimi 5 anni). Negli stessi periodi Roma ha invece attratto cifre sostanzialmente simili pari a 6,6 Miliardi nel decennio 2000-2009 e 6,8 miliardi nel decennio 2010-2019 (con soli due anni di volumi sopra il miliardo) a dimostrare di come la città sia meno permeabile rispetto a Milano all’afflusso di capitali e dove il contesto (come diciamo spesso) è più difficile da interpretare.
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Fonte : Il Sole 24 Ore